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Counseling Day 2023


 
La buona notizia: nelle scorse settimane il CNEL ha finalmente dato parere favorevole (con gli unici voti contrari dei 3 rappresentanti ordinistici) all’inserimento delle prime 11 associazioni professionali nell’elenco del Ministero della Giustizia previsto dall’art. 26 del Dlgs 206 del novembre ‘07. La cattiva notizia: è proprio da quella data che le associazioni attendono il primo decreto il quale, peraltro, non potrà essere emanato dal Ministero prima del gennaio 2010, quando (presumibilmente) gli arriverà la comunicazione del CNEL. Ed è una cattiva notizia perché dover aspettare più di 24 mesi per una procedura nemmeno troppo complessa da il senso di quali siano non tanto (e non solo) i tempi burocratici, quanto le resistenze di “alcuni” all’applicazione di una legge che fa emergere, per la prima volta a livello istituzionale, le associazioni professionali. Ma questo “attrito corporativo” assume tratti ancora più inspiegabili se si riflette sul contesto e sul contenuto dell’art. 26. Sul contesto c’è poco da dire perché tutto è noto: l’economia della tecno-conoscenza ha prodotto e sta producendo cambiamenti epocali dovunque e soprattutto nel mercato delle professioni. L’incapacità di prendere atto di tali dinamiche e di riformare il sistema di regolazione rappresenta dunque un freno che riduce fortemente la velocità competitiva del Paese. In tale ambito, le associazioni rappresentano un formidabile strumento di rinnovamento per raggiungere il punto di equilibrio tra tutela del cliente e competitività di mercato, ovvero la pietra angolare su cui costruire la riforma. Il sistema associativo offre vantaggi competitivi significativi: non opera in termini di monopolio/esclusività e genera vantaggi per i cittadini accreditando su base concorrenziale gli standard qualitativi dei professionisti associativi.

Sarebbe dunque importante offrire alle associazioni una maggiore visibilità attraverso un sistema di riconoscimento. Questo processo è venuto finora a mancare nel nostro Paese nonostante riguardi un universo di quasi 4 milioni di professionisti, e nonostante il sistema accreditatorio costituisca la base della regolamentazione non solo nei sistemi di origine anglosassone (UK/USA) ma anche nei sistemi duali che dominano tutta l’Europa continentale, il cui mix medio è 75% sistema accreditatorio/associativo, 25% sistema autorizzatorio/ordinistico (cfr. Servizio Studi del Senato). Nel merito: se il sistema duale è oggetto da anni di consenso diffuso tra le forze politiche ma di nessuna declinazione operativa, proprio la Direttiva Qualifiche ha offerto la sponda ad un primo processo “embrionale” di visibilità associativa. Ha infatti previsto che gli Stati membri potessero proporre alla Commissione UE la costituzione di “piattaforme comuni” con il fine di rendere omogenee le differenze di regolazione e facilitare la libera circolazione dei professionisti. Secondo la Direttiva (art. 15) alle piattaforme possono contribuire in modo paritario sia gli enti pubblici di tipo ordinistico che le associazioni private. In sede di applicazione in Italia era peraltro emerso un problema che rischiava di escludere il nostro Paese dalla maggior parte delle costituende piattaforme.

Si sarebbe potuta verificare l’impossibilità di trovare soggetti utili a rappresentare nelle piattaforme stesse la corrispondente professione italiana a causa della nessuna visibilità istituzionale delle tantissime professioni associative. Ciò avrebbe generato un vulnus molto grave perché la mancata partecipazione non avrebbe consentito l’emersione delle legittime richieste dei nostri professionisti o eventuali nostre specificità di tipo sociale, economico o territoriale, lasciando invece campo libero alle esigenze degli operatori degli altri Stati membri. Con l’art. 26 del Dlgs 206/2007 si è consentito alle associazioni di partecipare alle piattaforme comuni previo riconoscimento del Ministero della Giustizia e parere del CNEL. Non si tratta del sistema di riconoscimento associativo ma di un passaggio strategico di profondo significato: per la prima volta, infatti, è stata costruita una griglia di requisiti di selezione qualitativa e organizzativa delle associazioni. Di conseguenza, i requisiti dell’art. 26 possono essere considerati stabili e coerenti anche nella futura logica di costruzione del sistema duale. Le associazioni hanno dunque un modello di riferimento al quale tendere per esercitare una piena funzione di garanzia dei requisiti professionali degli iscritti nel confronti dei soggetti terzi.

Tale modello genererà fin d’ora maggiore lealtà e trasparenza nei processi concorrenziali fra associazioni e ciò si tradurrà in ulteriori benefici per il mercato professionale e, soprattutto, per i clienti/consumatori. Tutto questo senza incidere in alcun modo sulle prerogative degli Ordini professionali. Stupiscono pertanto le resistenze esercitate dai rappresentanti ordinistici durante l’applicazione al CNEL dell’art. 26 nell’ultimo anno, a meno che non siano il sintomo di una consapevole strategia di difesa delle proprie rendite di posizione. E questo nonostante le sentenze del TAR Lazio abbiano nel frattempo dichiarato inammissibili per carenza di interesse tutti i ricorsi presentati da CUP e Ordini contro l’art. 26: sentenze così indiscutibili che gli Ordini stessi non hanno fatto nemmeno ricorso al Consiglio di Stato.

L’Italia attende da tempo una pagina nuova in grado di indicare soluzioni agli ostacoli al libero dispiegarsi del potenziale dei nostri professionisti per imboccare decisamente la strada della competenza e della trasparenza, cioè la strada del merito in un mercato concorrenziale delle professioni. Il mondo economico ha spostato l'accento sul capitale intellettuale, l’area eletta delle professioni. E’ per questo che la piena e competitiva diffusione del capitalismo intellettuale ed il riconoscimento delle associazioni sono e saranno sempre più il motore dello sviluppo che verrà.

titolo: Iscritte nel registro le prime 11 associazioni
autore/curatore: Angelo Deiana
fonte: Il Sole 24 ORE
data di pubblicazione: 02/01/2010

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